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Detti calabresi: ecco quali sono i più significativi e la loro traduzione in dialetto

I proverbi, compresi i detti calabresi, sono una parte importante di ogni cultura e si tramandano, è proprio il caso di dirlo, di generazione in generazione. Quando poi queste massime sono pronunciate in dialetto, il fascino che generano aumenta a dismisura. Insieme alla saggezza popolare che le ha ispirate, infatti, si tramanderà anche la lingua locale che rimarrà, in questo modo, nella mente di ognuno di noi. Il Sud è una parte d’Italia dove i proverbi hanno un’importanza rilevante.

Detti calabresi, i più significativi

In Calabria, poi, i detti hanno preso ispirazione da diverse culture che si sono succedute in questa terra: da quella latina a quella greca, da quella araba a quella francese. Quali sono i detti calabresi più significativi? E come si traducono? Scopriamolo insieme.

  • A jumi cittu un ji a piscà (Non andare a pescare in un fiume silenzioso): proverbio che si traduce nella necessità di non fidarsi mai fino in fondo di nessuno perché tutti possono deluderci.
  • Maru cu sta ‘mpisu all’amuri, na vota nasci e natri centu mori (Triste chi dipende dall’amore: nasce una volta e cento muore).
  • Si a fatica era bona, l’ordinava u medicu (Se il lavoro facesse bene lo prescriverebbe il medico).
  • Cu pecura si faci, u lupu sa mangia (Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia).
  • Megghiu aviri a chi fari cu centu briganti, ca cu nu stortu gnuranti (Meglio avere a che fare con cento briganti che con uno solo ma stupido).

Già leggendo questi primi cinque proverbi, ci appare chiarissimo l’intento dei detti calabresi: colpire nel segno in maniera ironica e schietta ma senza mai offendere i destinatari dei nostri commenti. Si tratta di frasi che ci vengono tramandate direttamente dai nostri nonni. Dai detti calabresi emerge anche il modo di vivere dell’intera regione. Diamo un’occhiata, a questo proposito, ai seguenti:

  • U saziu nu’ canusci u dijunu (Chi è sazio non conosce il digiuno);
  • Quandu a tavula è conzata, cu no mangia perdi a spisa (Quando la tavola è pronta, chi non mangia perde il cibo);
  • Oni testa è nu tribunali (Ogni testa è un tribunale);

Il proverbio per dare buoni consigli

I detti calabresi, molto spesso, non si riferiscono soltanto agli atteggiamenti delle persone o a determinate situazioni. Molti vengono utilizzati, e sono nati, per dare consigli a coloro i quali vengono rivolti. Un modo come un altro per stare vicini a coloro cui teniamo e per far comprendere loro cosa, secondo noi, sarebbe giusto e cosa, invece, non lo sarebbe. Alcuni esempi? Eccoli:

  • Chi te vo bene te fa ciangere, chi te vo male te fa ridere (Chi ti vuole bene ti fa piangere, chi ti vuole male ti fa ridere);
  • Cu non poti manciari i carni si mbivi u brodu (Chi non può mangiare la carne deve accontentarsi del brodo);
  • Quandu u diavulu t’accarizza, l’anima voli (Quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima).

Diversi sono, poi, i detti calabresi che possiamo ritrovare anche in altri dialetti del Sud Italia. Nonostante cambino alcune parole (data la differenza dei vari dialetti), il messaggio che vogliono trasmettere rimane comunque identico in ogni zona del Paese. Proverbi come “U gobbu a menzu a via non si guardava u imbu chi avia” ovvero “Il gobbo nella via, guardava la gobba altrui e non la sua”. Come dire, in pratica, usando una massima italiana, che è più semplice vedere la pagliuzza negli occhi degli altri che la trave che si trova nel proprio.

Renan:
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