Per tantissime persone la musica è soprattutto un hobby, o comunque una passione: un modo per viaggiare con la fantasia o per andare a ricercare vecchie emozioni nascoste in qualche meandro della memoria. Se però da una parte c’è chi vive, più o meno interessatamente, la propria posizione di ascoltatore musicale, dall’altra c’è chi ha fatto della musica un mestiere.
Il cosiddetto “music business” comprende infatti migliaia di pedine, che chiaramente hanno importanza ed impatto diametralmente opposti: ad esempio da una parte ci sono i piccoli artigiani della canzone, che puntano su progetti di nicchia destinati ad un target selezionato, dall’altra le major, vere e proprie multinazionali che operano su scala infinitamente più vasta; da una parte i negozi locali, che costruiscono giorno dopo giorno un rapporto con il cliente in base alle sue esigenze specifiche e dall’altra i grandi distributori ed i marketplace dedicati, che permettono alle canzoni di maggior successo di raggiungere praticamente ogni angolo del globo. Nell’articolo di oggi proveremo a fare chiarezza su alcuni dei numeri che tengono in piedi questo particolarissimo settore lavorativo, dando un’occhiata nel dettagli ad i ricavi del mercato della musica.
Ecco quanto vale l’industria discografica
Il modo più rapido ed esaustivo per avere un’idea dei guadagni che sono dietro il music business consiste nel leggere il rapporto della banca d’affari Citigroup: stiamo parlando di una delle più grandi aziende di servizi finanziari, che ogni anno, tra le altre cose, stila un bilancio relativo al denaro applicato al mondo della canzone (per quello che riguarda gli Stati Uniti). Ebbene, nel 2017 la musica ha generato un totale di circa 43 miliardi di dollari: una cifra mostruosa in assoluto, che allo stesso tempo indica una crescita relativa del settore rispetto all’annata precedente. Gli acquisti infatti sono aumentati, raggiungendo il massimo storico di circa 20 miliardi di dollari e l’attività live (ovvero la spesa per i biglietti dei concerti) ha permesso una crescita del 5% degli introiti a favore degli artisti.
Streaming e case discografiche: chi ci guadagna di più?
Probabilmente era facile intuirlo, ma l’anello forte di questa catena sono sempre stati e restano le etichette e dli editori discografici, che continuano a portare a casa una larghissima fetta della torta di cui sopra. Se la passano decisamente peggio gli artisti che, nonostante il trend crescente, avrebbero guadagnato solamente il 12% del ricavi generati dall’industria nel suo complesso. La redistribuzione dei guadagni si fa problematica soprattutto quando si parla di musica in streaming, visto che piattaforme quali Spotify o Apple Music versano gran parte dei propri ricavi in diritti pagati alle case discografiche.
Nello specifico, Spotify ha dichiarato di impegnare in questo modo circa il 70% del guadagno totale legato alla musica, sostenendo al tempo stesso di essere una delle piattaforme che più pagano gli artisti, specie se confrontata ai servizi di streaming video o alle radio: stando a quanto pubblicato su artists.spotify.com il colosso svedese versa a cantanti e band dai 6000 agli 8400 dollari ogni milione di ascoltatori. La cifra varia in base al numero di utenti che ascoltano il brano scelto dopo avere sottoscritto un abbonamento a pagamento ed è proprio qui la sfida della piattaforma: nel momento in cui Spotify dovesse raggiungere 40 milioni di abbonati Premium, riuscirebbe ad aumentare le cifre in questione in maniera sensibile. Con buona pace degli artisti, ma anche, inutile sottolinearlo, delle major.