Che lo sport sia un mezzo per promuovere l’uguaglianza, oggi, è un dato di fatto. Parliamo di uno strumento potentissimo, un linguaggio che tutti comprendono, la speranza per molti di un mondo migliore, più bello e soprattutto più giusto. E sarebbe bello poter dire che oggi come oggi in Italia nelle squadre non esiste “razza”, non esiste genere e non esiste colore, se non quello portato fieramente sulla maglia. Ma per fare un’affermazione così forte dobbiamo aspettare ancora del tempo.
Di certo, però, il potenziale c’è: niente più dello sport può cancellare le differenze e farci sentire tutti parte di qualcosa, sullo stesso piano, nello stesso istante.
Il calcio è uno di quegli sport di squadra che cerca di unire, sia in campo che fuori dal campo, anche quando si guardano le formazioni, le quote delle partite di calcio o una partita insieme agli amici, ci si aspetta sempre che il razzismo resti fuori dai programmi.
Far parte di una squadra (non solo in campo)
Rispetto, lealtà, condivisione: sono le basi del fair play, regolamento morale su cui si devono basare tutti gli sport, in particolar modo quelli che prevedono la sfida contro un avversario e non solo verso se stessi. Un atleta secondo questi principi non può mai sentirsi solo, ed è anche per questo che lo sport è sempre consigliato come “medicina” contro la solitudine: che sia di squadra o meno, c’è sempre un team a farti sentire parte di qualcosa. Per non parlare del tifo, che ti apre le porte di casa sua e ti fa sentire accolto anche se, come spesso accade con i calciatori, vieni da molto, molto lontano.
Anche se, sì, perché ancora oggi la provenienza determina quanto tu possa essere meritevole di accoglienza, secondo alcuni. E in attesa che questo ideale venga finalmente debellato nella nostra società, possiamo solo sperare che chi lo alimenta venga sanzionato e punito nella misura che merita. E allontanato, possibilmente, perché lo sport non è odio, ma tutto il contrario: è condivisione, è festeggiamento, ma soprattutto uguaglianza.
E se da una parte dobbiamo confrontarci con episodi che non lo vogliono accettare, dall’altra troviamo in giro per il mondo iniziative che sfruttano questo ideale e lo sport come strumento di equità, come quando in Indonesia, nel 2011, si disputarono le Olimpiadi asiatiche delle scuole primarie. Bambini di ogni etnia, che parlavano lingue diverse, con difficoltà intellettuali e disabilità fisiche in questo frangente hanno dato una grande dimostrazione al mondo giocando il calcio, quello vero. Il calcio che non conosce barriere di alcun tipo, se non quella della punizione.
Il diritto allo sport come diritto all’uguaglianza
Cosa dice la Legge in merito allo sport? Oggi questa parola, “sport”, compare tra i diritti economici, sociali e culturali elencati sulla carta internazionale dello sport e dell’educazione fisica stilata dall’Unesco nel 1978. Qui viene definito come la funzione educativa in grado di dare benessere all’uomo e, di conseguenza, un diritto che egli ha e che nessuno può negargli. Ma ancora prima del ‘78 troviamo ben quattro articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo -anno 1948- che implicitamente riconoscono il diritto allo sport. Tali articoli, infatti, ci parlano di diritto allo svago e al riposo, alla salute e al benessere fisico, all’istruzione e alla partecipazione nella vita culturale della società.
Che detto molto più semplicemente: basta essere un essere umano per avere il diritto allo sport, a sentirsi parte di esso e a non subire discriminazioni di alcun genere.
E se ancora oggi c’è chi non si esime dall’insultare in un certo modo il giocatore africano e in un certo altro modo l’atleta donna, non possiamo far altro che fare la nostra parte per promuovere l’uguaglianza e prendere esempio dai bambini, che forse non sanno cosa significa la parola “inclusione”, ma che se cadi in campo ti tendono la mano a prescindere dal suo colore.